Virus epatite C

Differenze etnico-razziali nella terapia per il virus dell’Epatite C

L’infezione da virus dell’epatite C (HCV) continua a rappresentare una rilevante ‘sfida’ assistenziale, considerati gli oltre 5 milioni di pazienti infetti nel mondo. La clearance spontanea del virus dell’epatite C (HCV) si verifica piuttosto raramente, osservando cronicizzazione della patologia nel 75-85% dei pazienti infetti e complicanze a lungo termine come:

  • evoluzione in cirrosi epatica,
  • scompenso funzionale,
  • epatocarcinoma,
  • morte.

L’eradicazione del virus dell’epatite C è, pertanto, un obiettivo fondamentale, in quanto la risposta virologica sostenuta (SVR) é stata associata a regressione della fibrosi epatica e riduzione dei tassi di epatocarcinoma.

Nuovi farmaci a favore degli Afro-Americani contro il virus Epatite C

Storicamente, la razza ha giocato un ruolo significativo nella risposta al trattamento antivirale al virus dell’epatite C, segnatamente per i pazienti Afro-Americani, da sempre meno responsivi al trattamento ‘standard’ con interferone (IFN) pegilato, verosimilmente per la maggiore frequenza di espressione del polimorfismo ‘non-CC’ del gene dell’interleukina 28B, codificante la proteina IFN-λ 3, implicata nella risposta immunitaria contro il virus dell’epatite C, e fortemente associato alla ridotta SVR. Più recentemente, i nuovi antivirali diretti (DAA) hanno rivoluzionato la terapia per il virus dell’epatite C, in considerazione della facilità di somministrazione, della loro ottima tollerabilità e dei tassi elevatissimi di SVR, superiori al 90%, dipendenti dal grado di fibrosi e genotipo virale.
Nonostante tali progressi, segnalazioni discordanti continuano ad indicare ridotta SVR o più alti tassi di recidiva nei pazienti Afro-Americani dovuta appunto al virus dell’epatite C, particolarmente con regimi di trattamenti più brevi (8 verso 12 settimane).

Studio americano sulle diverse etnie in merito al virus Epatite C

L’articolo di Benhammou ed altri, pubblicato nel numero di Febbraio della rivista ‘Pharmacology Research & Perspectives’, analizza retrospettivamente potenziali interferenze etnico-razziali sul raggiungimento della SVR in un’ampia ed eterogenea coorte di Veterani trattata con DAA da Gennaio 2014 a Dicembre 2016.
Complessivamente, 1068 pazienti furono inclusi nello studio, appartenenti a 5 categorie mutualmente esclusive per razza/etnia di questi il 97% maschi, con età media di 61.8 anni:

  • Bianchi non-Ispanici,
  • Neri non-Ispanici,
  • Afro-Americani,
  • Ispanici,
  • Asiatici,
  • altri,
  • Bianchi, (37.5€ della popolazione totale),
  • Afro-Americani, (37.5€ della popolazione totale).

Risultò inoltre che:

  • il genotipo 1 (1a e 1b) risultò il più comune (83.9%),
  • seguito dal genotipo 2 (7.9%),
  • dal genotipo 3 (6.9%),
  • nessun paziente con genotipo 5,
  • una minoranza (3%) la coinfezione con HIV,
  • la maggioranza dei pazienti (79.5%) naïve,
  • il 35%  con patologia epatica avanzata.

Risultati dei trattamenti al virus dell’epatite C in base all’etnia.

Il più comune regime di trattamento per il virus dell’epatite C,fu sofosbuvir/ledipasvir ± ribavirina (47.8%); poiché la coorte di studio  considerava pazienti in terapia da Gennaio 2014, i dati hanno incluso anche regimi antivirali diretti più vecchi, come sofosbuvir/simeprevir (17.5%) e sofosbuvir/simeprevir/ribavirina (0.7%) nei pazienti con genotipo 1 e sofosbuvir/ribavirina (9.8%) prevalentemente  in quelli con genotipo 2 e 3; altri regimi di combinazione utilizzati, paritaprevir/ritonavir/ombitasvir/dasabuvir ± ribavirina nei pazienti con genotipo 1, sofosbuvir/daclatasvir ± ribavirina nel genotipo 3, paritaprevir/ritonavir/ombitasvir/ribavirina nel genotipo 4 ed il più recente grazoprevir/elbasvir nel genotipo 1; un sottogruppo di 159 pazienti Afro-Americani furono trattati prima del 2015 per sole 8 settimane, in relazione ai valori basali di viremia, invece delle 12 settimane successivamente raccomandate.

Le terapie al virus Epatite C sono meno efficaci negli afro-americani

Nell’analisi multivariata, la razza/etnia e la presenza di fibrosi avanzata furono i soli predittori significativi di non-SVR alla 12° settimana ‘off-therapy’ (SVR12), ad oggi equivalente a “guarigione”in particolare, tra gli infettati del virus dell’epatite C gli Afro-Americani risultarono avere il 57% di probabilità in meno (OR aggiustato: 0.43) di raggiungere la SVR12 rispetto ai Bianchi e quelli con fibrosi avanzata il 60% in meno (OR aggiustato: 0.40) rispetto agli altri, indipendentemente da:

  • età,
  • genotipo,
  • eventuale co-infezione da HIV,
  • presenza o meno di cofattore metabolico (obesità e steatosi)
  • precedente terapia antivirale.

Gli Afro-Americani ottennero la SVR12 nell’85% dei casi, mentre i Bianchi e gli Ispanici nel 89% e 83%, rispettivamente; quando furono escluse dall’analisi le terapie di combinazione più vecchie, le percentuali di SVR12 salirono a 87.8%, 92.4% e 88.7%, nei rispettivi gruppi etnico-razziali sopra citati.

La terapia contro il virus dell’epatite C varia in base alla biologia

Una possibile spiegazione biologica per queste osservazioni potrebbe individuarsi in differenze nel metabolismo dei farmaci, correlate al ‘background’ genetico dei pazienti, come la variabilità genetica ed i polimorfismi di alcuni geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci, CYP2D6 e CYP2C19. L’estensione della terapia, contro il virus dell’epatite C, da 8 a 12 settimane consente agli Afro-Americani di raggiungere tassi di SVR12 simili a quelli dei Bianchi, e questo confermerebbe potenziali differenze biologiche tra diverse razze ed etnie. D’altra parte, pazienti con tassi di aderenza inferiori al 90% non raggiunsero la SVR12 e tale dato sembra attenuare le differenze tra razza/etnia e SVR12. Limitazioni dello studio sono legate alla predominanza di maschi nella popolazione esaminata, che non consente di generalizzare le stesse conclusioni nelle donne, ed al piccolo numero di pazienti coinfetti con HIV, che non fornisce conclusive osservazioni relative ai tassi di SVR12 in questo sottogruppo; rimane, poi, non chiaro se i più bassi tassi di aderenza osservati negli Afro-Americani siano associati con differenti regioni geografiche. Infine, sebbene non siano stati stratificati i dati del genotipo per singola razza, è possibile che alcune delle differenze osservate siano correlate al genotipo virale; infatti, l’OR per il genotipo 2 migliora significativamente (0.5 – 2.5) dopo aggiustamento per altre covariate.

Complessivamente, sebbene i dati emersi in questa ampia ed eterogenea coorte di Veterani dimostrino l’importanza di differenze etnico-razziali nell’efficacia della terapia antivirale diretta per combattere il virus dell’epatite C, la vera ragione di tali discrepanze rimane non chiara ed andrebbe esplorata in studi prospettici mirati ad indagare le differenze nel metabolismo dei farmaci, attraverso il dosaggio dei loro livelli in circolo e valutando le caratteristiche genetiche dei pazienti.


Pharmacol Res Perspect. 2018 Feb 22;6(2):e00379. doi: 10.1002/prp2.379. eCollection 2018 Apr.

Race affects SVR12 in a large and ethnically diverse hepatitis C-infected patient population following treatment with direct-acting antivirals: Analysis of a single-center Department of Veterans Affairs cohort

Benhammou JN, Dong TS, May FP, Kawamoto J, Dixit R, Jackson S, Dixit V, Bhattacharya D, Han SB, Pisegna JR.