Da alcuni anni è aperto un ampio e serrato dibattito sull’uso dei farmaci biosimilari. Essi, infatti, possono rappresentare un efficace strumento per permettere ad una più ampia platea di pazienti di accedere alle molecole di alto costo per le loro necessità di cura. Anche nel mondo dell’emofilia e delle altre malattie ereditarie della coagulazione non ci si è sottratti a tale discussione. Vogliamo qui riportare sintetizzando un interessante editoriale comparso su Haemophilia nel 2018 nel quale A.E.Thomas (Commission on Human Medicines London UK) commenta l’utilità dei Biosimilari in Emofilia. Prima tuttavia di affrontare il tema, è necessario puntualizzare alcuni aspetti di carattere generale relativi alle problematiche dei biosimilari.
Lo sviluppo dei concentrati dei fattori di coagulazione e più recentemente con l’arrivo dei ricombinanti hanno sostanzialmente rivoluzionato il trattamento dell’emofilia. I processi di produzione sviluppati per consentire l’inattivazione virale dei concentrati derivati dal plasma e l’avvento di concentrati di fattori ricombinanti, in particolare dei fattori VIII e IX, hanno migliorato la purezza, la solubilità, ridotto il volume di iniezione ed eliminato virtualmente il rischio delle malattie infettive trasmissibili con le trasfusioni. A fronte di questi grandi progressi, nel mondo l’uguaglianza di accesso a questi costosi prodotti rimane tutt’oggi una grande sfida. L’utilizzo dei biosimilari potrebbe quindi essere giustificato.
L’emofilia A e B sono definiti disturbi rari e, dal punto di vista normativo, i fattori VIII e IX sono considerati farmaci orfani poiché l’emofilia si presenta in meno di 5 individui su 10.000 abitanti. Altre carenze di fattori come il fattore VII (FVII) e il fattore XIII (FXIII) sono ancora più rari. Quindi i farmaci per il trattamento di tali difetti possono avvantaggiarsi della definizione di farmaco orfano, e beneficiare di dieci anni di esclusività nel mercato .
Le malattie rare hanno spesso pochi prodotti con cui trattare il paziente, ma in contrasto per l’emofilia A e B esiste un’ampia gamma di prodotti sostitutivi dei fattori, sia derivati dal plasma che ricombinanti. Oggi inoltre disponiamo sul mercato di prodotti modificati con un’estesa emivita, di prodotti non sostitutivi come gli anticorpi monoclonali e della terapia genica ancorchè attualmente in fase di sviluppo.
I concentrati di fattori, derivati dal plasma o prodotti utilizzando la tecnologia ricombinante, sono biofarmaceutici e contengono molecole relativamente grandi e complesse, molto più grandi dei prodotti farmaceutici convenzionali. Tutti i prodotti biologici hanno una variabilità intrinseca dovuta al fatto che sono prodotti da organismi viventi e la variabilità è possibile sia all’interno di uno stesso lotto che tra i lotti e ovviamente con i cambiamenti dei processi di produzione.
La variabilità deve essere attentamente controllata per garantire un prodotto di alta qualità, in modo che si possa attendibilmente prevedere la sua sicurezza ed efficacia nella popolazione da trattare. Ciò è possibile per qualsiasi processo di produzione stabilendo rigidi criteri di definizione delle caratteristiche critiche di qualità (CQA) del prodotto. Ci si riferisce in particolare a quelle caratteristiche che possono avere un impatto sulla sicurezza ed efficacia e poi sulla solubilità, sulla purezza e sulla glicosilazione. Le caratteristiche fisico-chimiche e funzionali di ogni lotto del prodotto devono essere testate per garantire che rimangano all’interno di parametri ben definiti (specifiche). Infatti i cambiamenti nei processi di produzione possono alterare i parametri di qualità critici, che a loro volta, per esempio, possono comportare cambiamenti nell’immunogenicità o nella efficacia terapeutica e questi cambiamenti non è detto che non possano essere clinicamente importanti. Ora dobbiamo aver ben chiaro che nel mondo dell’emofilia si è in presenza di molecole grandi e complesse e il controllo e la regolazione di queste è più difficile di quello che avviene in presenza di piccole molecole. Dunque nell’emofilia lo sviluppo di farmaci biosimilari si presenta più impegnativo rispetto a quanto attiene a quello dei farmaci generici.
Che cos’è un biosimilare?
Un biosimilare è un prodotto biofarmaceutico che è copia di un prodotto originale. A causa della variabilità intrinseca dei prodotti biofarmaceutici, il prodotto della copia non potrà essere identico all’originale, ma dovrà essere comparabile. Come affermato nella Conferenza Internazionale sugli Orientamenti per l’Armonizzazione-Q5E “La dimostrazione della comparabilità non significa necessariamente che le caratteristiche di qualità del prodotto siano identici ma che siano molto simili e che le conoscenze esistenti siano sufficientemente predittive per garantire che eventuali differenze non abbiano alcun impatto negativo sulla sicurezza o sull’efficacia del prodotto farmaceutico”.
Per il mercato europeo, i medicinali biosimilari devono essere confrontati con un medicinale di riferimento (RMP) autorizzato nell’UE. Qui è importante chiarire che i prodotti innovativi o quelli progettati per avere prestazioni cliniche migliorate (biobetters) o prodotti di seconda e successiva generazione non sono da considerarsi biosimilari ma piuttosto RMP ed infatti seguono la normativa di riferimento di quest’ultimi. I biosimilari quindi non saranno mai classificati come RMP ed ad essi invece devono riferirsi.
Le problematiche che nascondono i biosimilari è che il processo di produzione definisce il prodotto, ma i produttori non hanno accesso ai dettagli del ciclo produttivo o agli ingredienti attivi del medicinale di riferimento. In questo caso i biosimilari dovranno avere un proprio processo di produzione che includa anche gli indici critici di qualità (CQA) per offrire una piena garanzia di sicurezza. Per fare ciò avrà bisogno
di analizzare le caratteristiche fisico-chimiche e funzionali, come la struttura molecolare, la glicosilazione e l’attività biologica, di una gamma di lotti del RMP, al quale si vuole ispirare, il più ampia possibile e quindi succesivamente intraprendere studi approfonditi di comparabilità .
Se il prodotto biosimilare dimostrerà di essere molto simile potrà ottenere le autorizzazioni alla commercializzazione.
Questo in genere riduce la tempistica per lo sviluppo del biofarmaco e riduce o abolisce il lavoro non clinico in vivo e riduce il numero di soggetti necessari per i test clinici. Sebbene il costo di sviluppo di un biosimilare sia comunque considerevole in genere ha un costo decisivamente inferiore rispetto all’originale e quindi competitivo sul mercato.
Quando un biosimilare può ottenere la commercializzazione?
In base alla legislazione farmaceutica Europea, le società titolari dei brevetti hanno l’esclusività dei dati per 8 anni dall’autorizzazione all’immissione in commercio del loro prodotto. L’esclusiva di mercato, in alcuni casi, può protrarsi sino a 10 anni. La designazione di farmaco orfano permette di prolungare di altri 2 anni il periodo di eslusività per i farmaci che hanno anche sviluppato studi di sicurezza in ambito pediatrico. Di fatto quindi i farmaci biosimilari possono entrare nel mercato solo dopo 10 anni di esperienza clinica del prodotto di riferimento.
Abbiamo bisogno di biosimilari in Emofilia?
Attualmente non ci sono biosimilari per il trattamento dell’emofilia. Come abbiamo già commentato, i percorsi di autorizzazione dei biosimilari richiedono un numero decisamente inferiore di pazienti e questo è sicuramente un vantaggio. Ma vi è un problema di non facile risoluzione, l’immunogenicità. Infatti la questione della sicurezza dell’immunogenicità non può essere affrontata in modelli animali e le differenze potenzialmente rilevanti nell’immunogenicità tra due prodotti in un esercizio di biosimilarità non potranno quindi essere rilevate in studi in vitro o in animali; questo può essere affrontato solo in studi clinici. Le conoscenze attuali non sono in grado di definire il ruolo del tipo di prodotto nel valutare i fattori di rischio per lo sviluppo degli inibitori.
La parità di accesso alle cure mediche e la sostenibilità dei sistemi sanitari sono promosse diminuendo i costi e aumentando l’offerta di farmaci. Lo sviluppo di farmaci biosimilari ha sicuramente il potenziale per offrire una gamma più ampia di scelte terapeutiche e di riduzione dei costi aumentando l’accessibilità e garantendo la continuità dell’offerta; ma sono necessari nell’emofilia?
Ci potrebbero essere dei vantaggi nello sviluppo di farmaci biosimilari in specie per alcuni dei prodotti non sostitutivi dell’emofilia. Ma va osservato che sebbene l’emofilia sia una malattia rara, sono disponibili molti farmaci sostitutivi e altri prodotti innovativi sono all’orizzonte. Inoltre dobbiamo sempre tener conto che l’immissione in commercio dei biosimilari potrà avvenire a distanza di 10 anni dalla commercializzazione dei RMP quando poi è probabile che la ricerca abbia offerto al mercato prodotti sempre più innovativi.
I vantaggi, quindi, dei biosimilari non sembrano essere così chiari. Va considerato che esiste già un numero significativo di concentrati di fattori sul mercato e il campo della
terapia sostitutiva dei fattori è in costante sviluppo con prodotti di nuova generazione e “biobetters”. E’poi improbabile che i biosimilari possano essere di aiuto alla comprensione del rischio di sviluppo di inibitori con un qualsiasi nuovo prodotto.
Si ritiene, dai più, che i prodotti biosimilari in Emofilia, se saranno sviluppati, saranno sempre in grande affanno nell’inseguire i RMP.
RIFERIMENTI
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