Quasi tutti i pazienti con malattie emorragiche congenite trattati con plasma-derivati prima del 1987 hanno contratto l’infezione da virus dell’epatite C (HCV) e, di questi, circa i 2/3 anche co-infezione da HIV. La clearance spontanea dell’HCV si verifica piuttosto raramente, osservandosi cronicizzazione della patologia nel 75-85% dei pazienti infetti. Circa il 15% dei pazienti progredisce in cirrosi entro 20 anni dall’inizio dell’infezione e, in assenza di terapia, ulteriore progressione della malattia, con scompenso funzionale, epatocarcinoma o morte-correlata, si registra nel 17% dei pazienti HCV positivi con malattie emorragiche congenite entro i 35 anni dall’esordio dell’infezione. Negli ultimi anni, con i progressi della terapia antiretrovirale che hanno abbattuto la mortalità da HIV, la patologia epatica HCV-correlata è diventata la principale causa di morte tra i pazienti emofilici. Dal 2012 l’interferone (IFN) pegilato in associazione alla ribavirina ha rappresentato il trattamento ‘standard’ per i pazienti con infezione cronica da HCV e malattie emorragiche congenite, consentendo di ottenere tassi di risposta virologica sostenuta, in assenza di co-infezione da HIV, solo nel 45% dei pazienti con genotipo 1 (il più diffuso) e nell’80% circa dei pazienti con altri genotipi, decisamente più rari, e, ancor meno incoraggiante, nel 30% dei casi per tutti i genotipi in presenza della stessa co-infezione.
Tradizionalmente, i pazienti con malattie emorragiche congenite sono da sempre considerati una popolazione ‘speciale’, esclusa dagli studi clinici di trattamento antivirale per ragioni relative alla peculiarità degli eventi avversi (impatto sul rischio emorragico non noto) ed all’impossibilità di adeguata stadiazione della patologia epatica per il timore di potenziali complicanze emorragiche secondarie alla biopsia epatica. Quindi, pochi sono i dati finora disponibili sulle nuove terapie con inibitori antivirali diretti, senza IFN, in questa coorte di pazienti. Vi abbiamo recentemente dato aggiornamenti su alcuni studi a riguardo negli articoli pubblicati il 27 ottobre e il 15 novembre u.s. In quest’ambito, di grande interesse, per la numerosità e la tipologia dei pazienti trattati, sono i dati pubblicati qualche mese fa su Haemophilia, relativi allo studio multicentrico di Walsh e coll., che hanno valutato efficacia e sicurezza di una combinazione di ledispasvir, un inibitore della proteina non-strutturale (NS) 5A dell’HCV, e sofosbuvir, un analogo nucleotidico inibitore della NS5B polimerasi, e di sofosbuvir con ribavirina in pazienti con infezione cronica da HCV, genotipi 1 – 4, e malattie emorragiche congenite.
Schematicamente, a tutti i pazienti con genotipo 1 (103 pazienti; 67 con sierotipo 1a) o 4 (1 paziente) fu somministrata una combinazione a dose fissa di ledipasvir 90 mg e sofosbuvir 400 mg in singola compressa una volta al giorno per 12 settimane, se naïve (60 pazienti, 28 cirrotici) o già trattati non cirrotici (39 pazienti), o 24 settimane (5 pazienti cirrotici con genotipo 1 e precedente esposizione a terapia antivirale); ai pazienti con genotipo 2 e 3 fu somministrato sofosbuvir (400 mg una volta al giorno) e ribavirina (divisa in due dosi giornaliere; 1000 mg per peso < 75 Kg o 1200 mg per peso ≥ 75 Kg) per 12 e 24 settimane, rispettivamente. Nella maggioranza (55%) dei 120 pazienti trattati era presente una malattia emorragica severa (78 pazienti con emofilia A, 31 con emofilia B, 10 con malattia di von Willebrand ed 1 con carenza di fattore XI della coagulazione); il 22% presentava co-infezione da HIV. Una risposta virologica sostenuta a 12 settimane ‘off-therapy’ fu registrata nel 99% (98/99) dei pazienti con genotipo 1 o 4; 100% (5/5) nei pazienti cirrotici già trattati con genotipo 1; 100% (10/10) nei pazienti con genotipo 2 e 83% (5/6) in quelli con genotipo 3. Non furono osservate sospensioni del trattamento per eventi avversi. I più frequenti eventi avversi non-emorragici furono astenia (29%), cefalea (14%), diarrea (9%), nausea ed insonnia (8%). Gli eventi emorragici si verificarono in 22 pazienti; i più comuni furono emartri (11 pazienti), ematomi muscolari (5 pazienti) ed epistassi (3 pazienti), dei quali 1 solo (epistassi) fu considerato correlato al trattamento.
Nessun paziente sviluppò inibitori. La sicurezza del trattamento fu simile tra i pazienti mono-infetti con HCV e quelli con co-infezione HCV/HIV. Non fu osservato alcun rebound virologico dell’HIV o cambiamenti nella conta dei CD4. In conclusione, pur non essendo stati inclusi nello studio pazienti con cirrosi di grado B o C di Child-Pugh, co-infezione da HBV o storia di epatocarcinoma, il trattamento con ledipasvir-sofosbuvir per i pazienti con genotipo 1 o 4 e sofosbuvir con ribavirina per i pazienti con genotipo 2 o 3 fu altamente efficace e ben tollerato nei pazienti con malattie emorragiche congenite, rappresentando ulteriore, significativa evidenza per incoraggiare i futuri trattamenti.
Haemophilia. 2017 Mar;23(2):198-206. doi: 10.1111/hae.13178. Epub 2017 Jan 25.
Ledipasvir-sofosbuvir and sofosbuvir plus ribavirin in patients with chronic hepatitis C and bleeding disorders
Walsh CE, Workowski K, Terrault NA, Sax PE, Cohen A, Bowlus CL, Kim AY, Hyland RH, Han B, Wang J, Stamm LM, Brainard DM, McHutchison JG, Von Drygalski A, Rhame F, Fried MW, Kouides P, Balba G, Reddy KR.