Terapia genica 1.0 in Emofilia: efficace e sicura, ma con molte incertezze

Con l’indicazione  1.0  nel titolo di questo commento,  gli autori evidenziano che siamo ancora alle prime fasi della terapia genica dell’emofilia, e che si attendono ulteriori progressi e sviluppi.

L’approccio principale utilizzato per la terapia genica in emofilia è la somministrazione di un gene normale lasciando contestualmente invariato quello endogeno. Gli attuali studi clinici forniscono i geni del FIX e FVIII utilizzando come  vettore un Adenovirus (AAV). Anche se l’infusione del vettore è molto semplice (infusione attraverso una vena periferica), il follow-up negli studi clinici è stato estremamente complesso perché ha previsto test di funzionalità epatica fino a tre volte alla settimana. Quanto sarà complesso il follow-up iniziale, una volta autorizzati questi trattamenti, non è ancora prevedibile. L’effetto negativo più comune nei primi 6 mesi dopo la somministrazione è l’ipertransaminasemia, spesso a causa dell’immunità cellulo-mediata contro il vettore.  A lungo termine, le principali preoccupazioni connesse con la terapia genica sono l’integrazione e la durata. L’Adenovirus è un vettore in gran parte non integrante nel DNA dell’ospite, anche se un basso tasso di integrazione sembrerebbe  possibile.

Sorprendentemente, invece, un report presentato all’incontro annuale della American Society of Hematology  (7 dicembre 2019) ha dimostrato la presenza di  integrazione in 20 campioni di biopsia epatica da cani con emofilia  A sottoposti a terapia genica praticata  10 anni prima. Nessuno dei cani presentava a lungo termine tossicità o evoluzione neoplastica, quindi il buon livello di integrazione non può essere ignorato. I pazienti che ricevono la terapia genica devono essere consapevoli dell’incertezza riguardo a questo problema e dei potenziali eventi avversi a lungo termine, tra cui una possibile evoluzione neoplastica maligna.

La durata dell’espressione del vettore  è diventata recentemente una questione importante. Nel primo trial di terapia genica (Nathwani e colleghi), che ha presentato una bassa espressione del FIX, i pazienti con emofilia B hanno continuato a mantenere questi livelli di espressione per 8 anni.
Al contrario, nel primo trial  di terapia genica in pazienti con emofilia A l’espressione del  FVIII non è stata stabile ma è andata riducendosi, tanto da far ritenere possibile una sua scomparsa  nell’arco di 8 anni. Non è chiaro se questa differenza sia dovuta al fatto che mentre il sito di produzione del FIX è l’epatocita quello del FVIII sono l’endotelio glomerulare e tubulare ed i sinusoidi epatici, quindi ci troviamo di fronte a siti differenti che potrebbero rispondere in  maniera differente. Tuttavia l’osservazione che nei cani l’espressione del FVIII sia rimasta stabile per 10 anni e che in due dei cani è addirittura aumentata non sembrerebbe essere coerente con questa spiegazione.

Altro oggetto di dibattito nella comunità scientifica è il target ideale di livello del fattore della coagulazione   da raggiungere.

I sanguinamenti, specialmente quelli spontanei, sono praticamente assenti  quando i livelli di FVIII o FIX sono superiori al 15 – 20%. Tuttavia, si può sostenere che l’obiettivo effettivo
dovrebbe essere il range di normalità del 50 -150 %.

Anche se un intervallo sostenuto e normale dovrebbe consentire una vita senza problemi di sanguinamento per contro potrebbe venir meno il potere di protezione nei confronti di eventi trombotici.

Molte altre sfide rimangono aperte in relazione alla terapia genica in pazienti affetti da emofilia, compreso il trattamento dei pazienti con anticorpi preesistenti al vettore, se è sicuro trattare i pazienti con malattie epatiche, qual è il limite di età inferiore per il trattamento dei bambini, e se
i pazienti possano essere nuovamente trattati laddove dovessero perdere  l’espressione genica. Attualmente i pazienti sono curati nei centri di emofilia ma è possibile che possano essere trattati in futuro  in centri di terapia genica.

Il contatto con i centri emofilia sarà sempre da tener presente  in quanto con il regime di terapia genica corrente, i pazienti possono ancora trasmettere la malattia alle loro figlie. Inoltre pazienti con concentrazioni di FVIII o  FIX inferiori alla norma e che non hanno emorragie spontanee o traumatiche, potrebbero invece richiedere un trattamento con concentrato di FVIII o IX in caso di interventi chirurgici.

I pazienti con emofilia dovranno pertanto calcolare pro e contro nel sostituire le attuali terapie tendendo presenti le attuali incertezze della terapia genica.

Dal punto di vista economico, infine, il problema del risparmio non è chiaro, poiché non sappiamo ancora quale sia la durata dell’efficacia laddove esista, quale sarà il nuovo mercato dei farmaci che dovrà adeguarsi ai nuovi scenari. In ultima analisi, la decisione di optare per la terapia genica al momento attuale  o, per contro,  di attendere fuuri sviluppi della ricerca, dipenderà dai paziente ma anche dalla sostenibilità economica della terapia.


www.thelancet.com/haematology Vol 7 March 2020

Gene therapy 1∙0 in haemophilia: effective and safe, but with many uncertainties

Michael Makris